Questo post nasce perché devo postarvi una poesia.
Avrei potuto farlo nell'altro, però – quello sui nostri poeti preferiti. Sarebbe stato perfettamente legittimo e logico, perché Cernuda *è* tra i poeti che più amo al mondo. Nonché una delle mie più profonde ossessioni.
Eppure, avevo bisogno di qualcosa dedicato a lui soltanto.
Perché Cernuda non è da amare soltanto per i suoi versi – per le sue poesie, le metafore, i giochi di luce. Non si tratta di riconoscere il suo talento, di apprezzarlo. Ripudiarlo.
Non per me, almeno.
Non per Samuel. E sicuramente non per Luis, che voi ancora non conoscete ma che proprio da lui prende il nome.
Cernuda, per me, è da amare per il suo coraggio. Per il suo contegno. Per la forza e la coerenza dimostrate fino all'ultimo, quando essere coerenti era una sfida che ben pochi raccoglievano.
E tutto questo non è chiacchiera vuota. La sua vita, la sua storia, è parte di lui in maniera nettissima – è impossibile leggere la poesia che sto per copiarvi senza prima sapere che lui era omosessuale. Che quest'omosessualità non l'ha mai taciuta – che non si è mai fatto scrupolo a pubblicare i suoi libri senza mascherare il fatto che le persone che ispiravano i suoi versi non erano fanciulle leggiadre, né qualunque altro tipo di donne.
Erano gli anni '20 della storia della Spagna.
Lui era nato a Siviglia, nel cuore dell'Andalusia più feconda. E di andaluso in fondo ha poco, se non forse l'indolenza di certi momenti. Se non forse il lento scorrere del Guadalquivir dentro gli occhi. E qualche paesaggio.
Non ha molto di spagnolo, forse. Le sue letture si orientavano più verso la Francia, verso l'Inghilterra – proprio in Francia e Inghilterra e USA andò in esilio, dopo lo scoppio della guerra civile. Dopo averla combattuta e abbandonata, guidato da quella sua stessa coerenza.
Eppure, della Spagna non smetterà mai di amare la lingua. Di sentirne la mancanza, la necessità – come unica cosa davvero sua.
Per questo, forse, andò in Messico quando il suono dell'inglese cominciò a farsi troppo freddo.
Per questo, forse, lì trovò pace.
La poesia che sto per ricopiarvi si intitola
A un poeta futuro. E c'è *tutto*, lì dentro – il suo sdegno aristocratico, la sconfitta mai taciuta. L'orgoglio di essere se stesso e l'amore per qualcosa a venire. Il suo senso di austerità. Di sacrificio.
Non è facile da tradurre, Cernuda.
Non lo è soprattutto per me, che amo perdutamente ogni sua parola.
Purtroppo, non sono ancora riuscita a decidermi a comprare neanche traduzioni scritte da altri, quindi per nostra sfortuna ho dovuto metterci mano io. Non avevo neanche intenzione di postarla davvero, ma Fata l'ha letta e ha detto che si può fare.
Io spero di non rovinare tutto, facendovelo conoscere così.
Ma davvero non c'era altra poesia che potesse presentarlo meglio. Non secondo me.
E poi, lo dovevo a Ste. Anche se non sono ancora le traduzioni che le ho promesso.
Avevo bisogno di darti questo, prima.
Per ragioni che non so neanche spiegare. Ma che probabilmente si avvicinano al motivo per cui ogni volta che dormo poco, o dormo male – ogni volta che l'anima sale a fior di pelle – mi ritrovo con la stampata di questi versi in mano. A sussurrarli.
E sentirli.
Un po’ tutto intorno a me.
A un poeta futuro
Non conosco gli uomini. Sono anni
che li cerco e li fuggo senza soluzione.
Non li comprendo? O forse è che li comprendo
troppo? Più che in queste forme
evidenti, di brusca carne ed osso,
così facilmente spezzate da una molla debole
se qualcuno appassionato le avvicina,
morti nella leggenda meglio
li comprendo. E da loro faccio ritorno ai vivi,
mio forte amico solitario,
come colui che dalla fonte latente
giunge al fiume che lentamente sfocia.
Non comprendo i fiumi. Con fretta errante vanno
dalla fonte al mare, in ozio affaccendato.
Pieni della loro importanza, sia industriale o agricola;
la fonte, che è promessa, soltanto il mare la esaudisce,
il mare multiforme, incerto e sempiterno.
Come in quella fonte lontana, nel futuro
dormono le forme possibili della vita
in un sonno senza sogni, nulle ed incoscienti,
pronte a riflettere l'idea degli dei.
E tra quegli esseri che un giorno saranno,
tu dormi il tuo sonno, mio impossibile amico.
Non comprendo gli uomini. Ma qualcosa in me risponde
che comprenderei te, così come comprendo
gli animali, le foglie e le pietre,
compagni di sempre silenziosi e fedeli.
Tutto è questione di tempo in questa vita,
un tempo il cui ritmo non si accorda,
troppo lungo e vasto, con l'altro povero ritmo
del nostro tempo umano breve e debole.
Se il tempo degli uomini e il tempo degli dei
si equivalessero, questa nota che in me inaugura il ritmo
unita alla tua si accorderebbe in cadenza,
invece di spegnersi senza eco nel mondo uditorio.
Ma non mi importa di restare sconosciuto
in mezzo a questi corpi quasi contemporanei,
vivi in maniera differente dal mio corpo
di terra folle che lotta per farsi ala
e raggiungere il muro di quello spazio
che separa i miei anni dagli anni tuoi futuri.
Soltanto voglio che il mio braccio poggi sopra un altro braccio amico,
che altri occhi vedano quel che guardano i miei.
Anche se tu non saprai con quanto amore oggi cerco
in questo abisso bianco del tempo venturo
l'ombra della tua anima, per imparare da essa
ad ordinare la mia passione secondo una nuova misura.
Oggi, quando gli uomini mi catalogano
sotto le loro classificazioni e i loro scomparti,
disgusto alcuni perché sono troppo freddo, e altri perché sono strano,
e nel mio tremare d'uomo trovano reminescenze
morte. Non capiranno mai che se la mia lingua
un giorno cantò il mondo, fu solo amore ad ispirarla.
Io non potrò dirti quanto tempo ho trascorso
lottando perchè la mia parola non muoia
in silenzio al mio fianco, e perché come un'eco
giunga a te, simile a una tormenta passata
mentre un suono vago la ricorda nell'aria ormai tranquilla.
Tu non saprai mai come domo la mia paura
per trasformare in coraggio la mia voce,
offrendo all'oblio inutili sciagure
che intorno a noi impazzano e calpestano
la nostra vita con sciocco godimento,
la vita che tu sarai e che io sono quasi stato.
Perché in questo allontanamento umano presagisco
che miei potrò chiamare gli uomini futuri,
che questa solitudine sarà un giorno popolata.
Se pure non da me, da compagni limpidi fatti a tua immagine.
Se rinuncio alla vita è per ritrovarla poi
conforme al mio desiderio, nella tua memoria.
Quando a tarda ora, mentre ancora sto leggendo
al chiarore della lampada, mi interrompo
per ascoltar la pioggia, noiosa quanto un ubriaco
che urina nella tenebra gelata della strada,
qualcosa in me sussurra debolmente:
Gli elementi liberi che il tuo corpo imprigiona
furono convocati sulla terra per questo
solamente? C'è altro? E se sì, dove
cercarlo? Non conosco altro mondo se non questo,
e senza di te a volte è triste. Amami con nostalgia,
come ameresti un'ombra, come io stesso ho amato
la verità del poeta sotto nomi già fuggiti.
Quando nei giorni a venire, libero l'uomo
dal mondo primitivo a cui abbiamo fatto ritorno
di tenebre ed orrore, il destino porterà
la tua mano verso il volume dove giacciono
dimenticati i miei versi, e lo aprirai,
so che sentirai la mia voce raggiungerti,
non da quei vecchi caratteri, ma dalle profondità
più vive delle tue viscere, con un affanno senza nome
che saprai dominare. Ascoltami e comprendi.
Nel suo limbo la mia anima forse ricorderà qualcosa,
e allora dentro di te i miei sogni e desideri
troveranno infine una ragione, e io avrò vissuto.
Luis Cernuda – Come chi aspetta l'alba, 1947Prima di lasciarvi andare liberi al termine di quest'omelia, ci sono alcune cose ancora che voglio dire. Sottolineare.
Passaggi che davvero non posso permettere vadano sprecati, anche se il resto vi avesse lasciati indifferente. Anche se, per colpa del suo stile così netto e della mia traduzione insufficiente, vi foste persi.
Quarta strofa, quarto verso.
Vivi in maniera differente dal mio corpo
di terra folle che lotta per farsi ala.
In spagnolo usa un'espressione meravigliosa – se l'immagine è la stessa, la musicalità si perde del tutto.
Mi cuerpo de tierra loca que pugna por ser ala.
Mi vengono i brividi ogni volta che lo leggo. Perché è quello che siamo tutti, in fondo.
Tierra loca, null'altro. E tutti in un modo o nell'altro, almeno qualche volta, ci siamo sforzati di trasformarla in altro. In
ala.
Sesta strofa.
I primi due versi.
È difficile spiegare *che cosa* significhino per me, perché sono la prima cosa che ho letto di questa poesia, in un articolo che parlava di altro. Perché è stata come corrente ad alto voltaggio e l'ho
visto, di colpo. Ho sentito la sua voce tremare. I suoi occhi di quando era bambino, di quando era ragazzo. La sua fragilità così umana, e la rigidità ferrea, intransigente, in cui l'aveva costretta.
Tú no conocerás cómo domo mi miedo
Para hacer de mi voz mi valentía.
C'è una dolcezza, nello spagnolo. Una tenerezza per chi deve ancora venire – per chi verrà, e sarà libero. Anche di non aver paura, anche di non dover essere coraggioso.
E al tempo stesso. C'è l'ammissione di un
miedo profondo, quasi ancestrale. E l'orgoglio di riuscire a
domarlo. Per trasformarlo in coraggio. E in poesia.
Credo sia una delle dichiarazioni di poetica più commoventi che ho mai letto.
E uno degli auguri più splendidi e altruistici, fiduciosi in un futuro che ancora non è venuto. Ma che in fondo, almeno per lui, già sta cominciando il suo riscatto.
Strofa successiva. Il finale.
Ámame con nostalgia,
Como a una sombra, como yo he amado
La verdad del poeta bajo nombres ya idos.Perché 'ámame como a una sombra – con nostalgia' è probabilmente la preghiera più struggente che si possa formulare. C'è il sapore di un addio – tutta l'immensità del tempo che separa lui – lui mentre scrive – e noi. Me. Mentre leggo.
Credo che questa poesia mi faccia venire le vertigini per questo. Perché è come se fosse diretta a me, anche, ed è come se fossi arrivata troppo tardi. Come se, anche in questo mio imperdonabile ritardo, non tutto fosse perduto. Perché magari nel suo limbo la sua anima davvero riuscirà a sentire l'omaggio che la sua stessa terra sta cominciando a tributargli. Forse potrà fremere un poco con ogni verso scritto seguendo il suo insegnamento – per ognuno degli altri poeti che, dagli anni cinquanta ad oggi, scelse di affrontare il mondo a viso aperto. E per ognuno di quelli che, anche senza trovarsi costretto a provare la sua stessa
valentía, raccolse la sua eredità. Amò il suo stile.
Perché la sua voce viene davvero dal
fondo vivo de tu entraña. E noi non possiamo fare altro che ascoltarlo, in fondo.
Commuoverci.
E forse, se siamo fortunati, capirlo.